Quando pensiamo al valore residuo immediatamente la mente va alla determinazione di quanto potrà valere una determinata vettura dopo un tempo stabilito.

Difficilmente colleghiamo il concetto di residuale al dato o a una serie di dati che possono dare vita a un’informazione.

Eppure, nell’era dei Big Data, l’informazione ha assunto una rilevanza economica ancora maggiore, se non altro perché la quantità di dati richiede una capacità di selezionare solo ciò che è veramente utile da quanto è invece bene ignorare.

Certamente l’intelligenza artificiale con i modelli di machine learning aiuta a velocizzare e a volte, ma non sempre, a convogliare le attività sui dati valoriali. Ma resta aperta la questione di quando attribuire al dato un valore futuro nullo e quindi destinarlo alla sua eliminazione.

Nella passata edizione, il Master ha messo a punto un project work sulla trasformazione del dato in informazione, disegnando il processo di gestione dei lead all’interno di un information journey dove l’obiettivo fosse la rilevanza commerciale dell’indicazione.

Un viaggio che non è mai a costo zero.

Raccogliere un dato, tracciarlo, qualificarlo, integrarlo, condividerlo, produce l’impiego di risorse che sarebbe il caso di quantificare per decidere quando abbandonarlo al suo destino.

I commerciali sono soliti definire il mancato successo nel processo di trattamento del dato cliente come “vendita persa”.

Una mancata vendita, che ha comunque richiesto un impegno e che può aver visto coinvolti più reparti dell’azienda.

Una considerazione che dovrebbe portare tutti i componenti dell’organizzazione a sentirsi coinvolti nella corretta gestione del dato, a partire dal puntuale riporto a sistema di ogni momento di contatto con il lead, inteso come un’opportunità di vendita futura.

Se così intendiamo il lead, risulta chiaro come le attività di arricchimento dei dati procedano all’interno del processo di costruzione della relazione, giustificando l’adozione del termine di catena di valore dei dati.

Un processo di arricchimento delle informazioni che troverà un limite nel momento in cui il costo di acquisizione non eguaglierà il suo valore marginale, andare oltre non potrà produrre all’azienda che possiede quella informazione un vantaggio competitivo.

Ma come misurare il valore residuo di un dato?

L’ipotesi su cui lavorare potrebbe svilupparsi nel considerare il potenziale del dato a contribuire alla costruzione della relazione, con l’obiettivo ultimo della futura customer retention.

In questo caso, quell’account andrà valutato in ragione della sua applicazione nelle campagne di marketing, secondo una corretta profilazione.

Se lo status di lead dovesse mantenersi nel tempo, le sue caratteristiche di qualifica potrebbero essere utilizzate per indirizzare determinate iniziative del Dealer con contenuti sensibili per quel target.

Questo modello di applicazione del dato consentirebbe di decidere di cestinare le informazioni non nell’immediato, banalmente dopo i classici sei tentativi di avviare un contatto, bensì a seguito di successive attività, precisate in funzione delle peculiarità di un determinato cluster di profili, qualora non dovessero produrre i risultati precedentemente definiti.

In questo grafico è possibile rappresentare la correlazione tra il valore del dato e il processo di costruzione della relazione:

Queste considerazioni devono farci riflettere sul fatto che il processo di trattamento del dato non è sempre lineare ma potrebbe, nel tempo, assumere una connotazione ciclica, con un andamento altalenante all’interno del funnel di vendita.

Se legare i customer data alla costruzione della relazione nel tempo potrebbe significare un modello di misurazione del valore residuo del dato, la sua applicazione pratica incontra non pochi ostacoli.

A partire dalla consapevolezza che la responsabilità nella gestione del singolo account è comune a tutti i collaboratori di una determinata organizzazione, nel momento in cui tutti contribuiscono allo sviluppo della relazione in ottica cliente centrica.

Ma ancora prima, sussiste il problema dell’utilizzo dello storico presente nei sistemi informatici, indispensabile se vogliamo definire i messaggi con un contenuto personalizzato.

Una criticità amplificata dal fatto che i customer data sono delegati a Fornitori diversi, ognuno con un proprio sistema di archiviazione, spesso non in interfaccia con i DMS o CRM in dotazione dell’azienda proprietaria dei dati.

Questo comporta il rischio per il Dealer che i risultati di una campagna di marketing non siano consolidati in un record cliente principale, perdendo pezzi preziosi d’informazione o comunque non aggiornati, rendendo di conseguenza falsata la misurazione del valore residuo del dato.

In conclusione, la valutazione su quando definire obsoleta un’informazione passa attraverso il legame tra valore del dato e la costruzione della relazione, con il supporto di un modello organizzativo realmente cliente centrico, dotato di sistemi di market intelligence in grado di lavorare sull’integrazione dei dati in continuo aggiornamento.